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La formulazione della clausola compromissoria dovrebbe essere effettuata con particolare attenzione, atteso che essa costituisce la fonte della potestas iudicandi degli arbitri e che non sempre potrà porsi rimedio a suoi eventuali vizi a controversia insorta.
Tuttavia, capita che a tale clausola non venga dedicata l’attenzione necessaria, vuoi perché essa viene inserita all’ultimo momento in un contratto (non a caso, si parla di midnight clause), vuoi perché, raggiunto talvolta dopo estenuanti negoziazioni l’accordo sul resto del contenuto contrattuale, si sottovaluta il rischio che, proprio su quel contratto, possa sorgere una controversia.
Sull’interpretazione di una clausola compromissoria, dalla formulazione non particolarmente felice, si è espresso il Tribunale di Milano con ordinanza del 19/22 gennaio 2015 (qui il testo dell’ordinanza).
Il Tribunale era stato adito, in via cautelare, per ottenere la sospensione degli effetti di una delibera adottata dall’assemblea di una società per azioni.
La società resistente si era costituita nel procedimento cautelare sollevando, tra le altre cose, exceptio compromissi.
La clausola, contenuta nello statuto della società, era del seguente tenore: “Qualunque controversia insorgente tra i soci e la società, ivi comprese quelle relative alla validità delle delibere assembleari (…) avente ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, potrà essere devoluta ad un Arbitro Unico”.
Ebbene, il Tribunale di Milano è giunto alla conclusione che “la clausola in questione concede ai soci la facoltà di adire gli arbitri, senza imporre loro un obbligo in tal senso”; in altri termini, “le parti hanno la facoltà di adire l’arbitro, ma se una dissente rimane obbligata la scelta della giurisdizione ordinaria”. In proposito, il giudice del cautelare ha rilevato che “l’uso del verbo «potere» è inusuale in clausole arbitrali, dove l’obbligo di adire gli arbitri è espresso, se non addirittura con l’uso dell’ausiliare «dovrà», con l’uso del verbo «devolvere» all’indicativo o al futuro” (in effetti, la clausola modello per arbitrati societari predisposta dalla Camera Arbitrale di Milano prevede che “Tutte le controversie aventi ad oggetto rapporti sociali, comprese quelle relative alla validità delle delibere assembleari, promosse da o contro i soci, da o contro la società, da o contro gli amministratori, da o contro i sindaci, da o contro i liquidatori, saranno risolte mediante arbitrato secondo il Regolamento della Camera Arbitrale Nazionale e Internazionale di Milano. Il Tribunale Arbitrale sarà composto da un arbitro unico/tre arbitri, nominato/i dalla Camera Arbitrale. L’arbitrato sarà rituale e gli arbitri decideranno secondo diritto”).
Mi pare che la conclusione cui è pervenuto il Tribunale di Milano (sussistenza della propria competenza) sia corretta, anche se non condivido taluni passaggi del percorso argomentativo. Innanzi tutto, a ben vedere, l’esistenza e la portata della clausola compromissoria statutaria erano, nel caso di specie, del tutto irrilevanti. Infatti, costituisce ormai jus receptum il principio secondo il quale, sino alla costituzione del tribunale arbitrale, il giudice statale è competente a conoscere delle istanze cautelari delle parti. Di ciò, peraltro, dà atto lo stesso Tribunale di Milano nell’ordinanza in commento.
Inoltre, mi sembra veramente eccessiva, e frutto forse di un certo sfavore per l’arbitrato, l’affermazione del giudice della cautela, secondo la quale “le parti hanno la facoltà di adire l’arbitro, ma se una dissente rimane obbligata la scelta della giurisdizione ordinaria”. A mio avviso, invece, la clausola in parola può essere interpretata nel senso che è consentito all’attore di scegliere la modalità di soluzione delle controversie (giudice statale o arbitro) che preferisce e ciò poiché tale clausola, per l’appunto, prevede la facoltà (la mera facoltà e non l’obbligo) di deferire le controversie a un tribunale arbitrale, sicché non sarà necessaria una nuova manifestazione di consenso al procedimento arbitrale della parte convenuta: tale consenso in effetti è già contenuto nella clausola.
Una fattispecie molto simile è stata decisa dal Tribunale di Bari, con la sua sentenza n. 2379 del 5 luglio 2011 (richiamata nell’ordinanza in commento del Tribunale di Milano): in quella occasione, l’impiego dell’ausiliare “potere” ha indotto il giudice a ritenere che “le parti abbiano previsto la mera facoltà di esperire l’arbitrato, restando salva la scelta di adire l’autorità giudiziaria ordinaria”.