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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17956 dell’11 settembre 2015, ha fornito (a quanto mi consta, per la prima volta) la sua interpretazione dell’art. 816/septies cod. proc. civ. in tema di compensi degli arbitri, specificando il suo ambito e le sue condizioni di operatività. Il testo integrale della sentenza è disponibile qui.
Ai sensi dell’art. 816/septies cod. proc. civ., “Gli arbitri possono subordinare la prosecuzione del procedimento al versamento anticipato delle spese prevedibili. (…)” (co. 1). Il secondo comma dello stesso articolo prevede inoltre che “Se una delle parti non presta l’anticipazione richiestale, l’altra può anticipare la totalità delle spese. Se le parti non provvedono all’anticipazione nel termine fissato dagli arbitri, non sono più vincolate dalla convenzione di arbitrato con riguardo alla controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale“.
Di questa norma ha fatto applicazione (erronea, ad avviso della Corte di Cassazione) un collegio arbitrale che, preso atto del mancato pagamento dell’acconto richiesto alle parti (relativo alla metà dei compensi a titolo anche di onorari), aveva da ciò dedotto la loro volontà di sciogliere il vincolo compromissorio e dichiarato quindi l’improcedibilità dell’arbitrato.
Il lodo, impugnato avanti la Corte di Appello di Napoli, è stato dichiarato nullo da quest’ultima, con pronunzia confermata dalla Cassazione.
La Suprema Corte, innanzi tutto, ha rilevato che l’art. 816/septies cod. proc. civ. (con le sue gravi conseguenze) non si applica sol perché gli arbitri hanno richiesto il pagamento di una anticipazione entro un determinato termine ed entro questo termine il pagamento non è intervenuto. Invero, secondo la Cassazione è pure necessaria “una specifica manifestazione della volontà di condizionare la prosecuzione del procedimento al versamento delle somme dovute a titolo di anticipazione delle spese previdibili” (che nel caso di specie mancava).
La Corte di Cassazione aggiunge poi che in ogni caso il riferimento alle “spese prevedibili” contenuto nell’art. 816/septies cod. proc. civ. non può essere interpretato in maniera estensiva: esso riguarda solo le spese e non anche gli onorari. Si tratta, in effetti, dell’opinione prevalente pure in dottrina, sia pure occasionalmente contraddetta da qualche Tribunale arbitrale.
Sul punto, può essere utile anche un confronto con il Regolamento della Camera Arbitrale di Milano. La disposizione che ci interessa è l’art. 38 del Regolamento arbitrale: “Se una parte non deposita l’importo richiesto, la Segreteria Generale può richiederlo all’altra parte e fissare un termine per il pagamento ovvero può, se non lo abbia già stabilito in precedenza, suddividere il valore della controversia e richiedere a ciascuna parte un importo correlato al valore delle rispettive domande, fissando un termine per il deposito. In ogni caso di mancato deposito entro il termine fissato, la Segreteria Generale può sospendere il procedimento, anche limitatamente alla domanda per la quale vi è inadempimento. La sospensione è revocata dalla Segreteria Generale, verificato l’adempimento. Decorso un mese dalla comunicazione del provvedimento di sospensione previsto dal comma 2 senza che il deposito sia eseguito dalle parti, la Segreteria Generale può dichiarare l’estinzione del procedimento, anche limitatamente alla domanda per la quale vi è inadempimento, senza che con ciò venga meno l’efficacia della convenzione arbitrale“.
La disposizione del Regolamento della Camera Arbitrale di Milano ha un ambito di applicazione più ampio dell’art. 816/septies cod. proc. civ.: essa riguarda infatti tutti i costi del procedimento, compresi quindi gli onorari della Camera Arbitrale, del Tribunale arbitrale e degli eventuali consulenti tecnici d’ufficio. A questo ampliamento fa però da contrappeso il carattere meno grave della sanzione collegata al mancato pagamento: non più la caducazione della convenzione arbitrale (sia pur limitatamente all’oggetto del contendere), ma la mera estinzione del procedimento arbitrale.