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Ho letto con interesse una recente pronuncia della Cassazione (Cass., Sez. VI Civ., ord. 21 gennaio 2016, n. 1119, disponibile qui), in tema di definizione delle controversie arbitrabili, anche poiché ha offerto, in riferimento a un arbitrato di diritto comune, una interpretazione dei limiti di arbitrabilità non del tutto coincidente con quella che la stessa Suprema Corte impiega in caso di arbitrato societario.
La vicenda, in estrema sintesi, è la seguente.
Una società, utilizzatrice in un contratto di leasing, ha convenuto avanti il giudice statale l’istituto finanziario concedente, lamentando il carattere usurario degli interessi determinati ai sensi del contratto e chiedendo quindi la restituzione delle somme pagate indebitamente e il risarcimento del danno subito.
Il concedente si è costituito in giudizio, sollevando exceptio compromissi, che è stata accolta dal giudice: la controversia in parola (avente ad oggetto una lamentata nullità per contrarietà a norme imperative) sarebbe senz’altro deferibile in arbitri ai sensi del vigente art. 806 cod. proc. civ., a norma del quale “Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge“.
L’ordinanza con la quale il giudice statale ha declinato in favore del Tribunale arbitrale la competenza a decidere della controversia è stata impugnata dalla società utilizzatrice. Ad avviso di quest’ultima, innanzi tutto, il giudice avrebbe dovuto fare applicazione del previgente testo dell’art. 806 cod. proc. civ., ossia quello precedente la riforma di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, poiché il contratto oggetto di contestazione, contenente la clausola compromissoria, era stato concluso nel gennaio 2001. E ai sensi dell’art. 806 cod. proc. civ. applicabile ratione temporis (“Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte, tranne quelle (…) che non possono formare oggetto di transazione“) la controversia in parola non sarebbe arbitrabile, poiché essa non potrebbe formare oggetto di transazione.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che il primo giudice avesse errato nel richiamare il vigente art 806 cod. proc. civ., ma che nondimeno fossero corrette le conclusioni cui è pervenuto.
Il nuovo testo dell’art. 806 cod. proc. civ. è stato introdotto dall’art. 20 d.lgs. 40/2006 e, ai sensi dell’art. 27 del medesimo d.lgs., le disposizioni del suo art. 20 si applicano alle convenzioni di arbitrato stipulate dopo la sua entrata in vigore, avvenuta il 2 marzo 2006. Non vi è quindi alcun dubbio che esse non possano trovare applicazione con riferimento a una clausola compromissoria conclusa nel gennaio 2001.
Nondimeno, alla diversa formulazione dell’art. 806 cod. proc. civ. non consegue una sostanziale modificazione del significato della disposizione: non sono suscettibili di essere deferite in arbitri le controversie aventi ad oggetto diritti che, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti.
Allo scopo di individuare questi diritti indisponibili – afferma la Cassazione – “non assume un rilievo determinante la circostanza che la disciplina del rapporto sia dettata da norme inderogabili, esistendo una pluralità di materie disciplinate da norme imperative, nell’ambito delle quali è riconosciuta alle parti la facoltà di disporre dei propri diritti, magari a determinate condizioni oppure nel rispetto delle modalità previste dalla legge“. In altri termini: il concetto di indisponibilità dei diritti non va confuso con quello dell’inderogabilità della disciplina applicabile. Si tratta di un insegnamento ormai risalente (la sentenza in commento richiama sul punto Cass., Sez. I Civ., 27 febbraio 2004, n. 3975, disponibile qui), ma che forse talvolta viene dimenticato.
Nel caso di specie, quindi, secondo la Suprema Corte, il carattere inderogabile delle disposizioni che disciplinano la determinazione del tasso di interesse (stabilendo condizioni e limiti per la pattuizione di interessi extralegali e comminando sanzioni penali per l’imposizione di interessi usurari) comporta sì la nullità dei patti che le violano, ma non anche l’incompromettibilità delle relative controversie. Saranno quindi gli arbitri a potersi (e doversi) pronunciare sulla lamentata nullità.