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Una recente pronunzia del Tribunale di Roma (Trib. Roma, Sez. III Civ., 1 marzo 2016, n. 4216, disponibile qui) torna sul tema dei rapporti tra arbitrato e processo, e in particolare sulla possibilità di sospendere un procedimento pendente avanti il giudice statale in attesa della definizione di altro procedimento pendente avanti un Tribunale arbitrale, di cui già avevo parlato in questo post.
Questa, in sintesi, era la vicenda sottoposta al Tribunale di Roma.
Tre società, due di Taiwan (Powercom Co. Ltd. e Sunpower Semiconductor Ltd.) e una di Singapore (Yuraku Pte. Ltd.), avevano costituito una joint venture (una società di Singapore, denominata Powercom Yuraku Pte. Ltd.) per la realizzazione di impianti fotovoltaici in Europa.
La società risultante dalla joint venture (come detto, Powercom Yuraku Pte. Ltd.) ha costituito a sua volta una società di diritto lussemburghese (Powercom Yuraku SA), la quale infine ha costituito in Italia otto distinte società veicolo, una per ogni impianto fotovoltaico da realizzare.
I rapporti tra le società che hanno costituito la joint venture erano regolati da due patti parasociali: il primo del maggio 2009 e il secondo dell’ottobre dello stesso anno. In relazione all’adempimento di questi patti, era sorta controversia tra le parti, rimessa al giudizio di un Tribunale arbitrale a Singapore.
Pendente l’arbitrato a Singapore, la Sunpower Semiconductor Ltd. ha ottenuto dal Tribunale di Roma otto decreti ingiuntivi, per il pagamento del prezzo a suo dire dovuto dalle società di progetto per i pannelli fotovoltaici, acquistati per l’appunto dalla Sunpower Semiconductor Ltd.
Il procedimento deciso dal Tribunale di Roma con la sentenza in commento è quello di opposizione a uno di questi otto decreti ingiuntivi.
In tale procedimento, la società di progetto, oltre a contestare nel merito la fondatezza della pretesa avversaria, ha pure chiesto che il giudizio venisse sospeso (ex art. 295 cod. proc. civ. ovvero ex art. 7 l. 31 maggio 1995, n. 218) in attesa della definizione del giudizio arbitrale di Singapore.
Tra le previsioni dei patti parasociali oggetto, come visto, della cognizione degli arbitri di Singapore vi era infatti pure quella secondo la quale il pagamento del prezzo dei pannelli fotovoltaici (reclamato dalla Sunpower Semiconductor Ltd.) sarebbe divenuto esigibile solo all’avverarsi di una determinata condizione (concessione di finanziamenti alle società di progetto da parte del sistema bancario); condizione che, secondo la società di progetto, non si era avverata proprio per fatto della Sunpower Semiconductor Ltd.
Il Tribunale di Roma, sul punto, ha raggiunto una conclusione che ritengo corretta: non è possibile sospendere il giudizio pendente avanti il giudice statale in attesa della definizione di un procedimento pendente avanti un Tribunale arbitrale.
La motivazione del provvedimento del Tribunale di Roma non mi pare però completamente condivisibile.
Il Tribunale ha rilevato, è vero, che la sospensione del giudizio avanti a sé pendente era preclusa dal disposto dell’art. 819/ter, co. 2, cod. proc. civ., ai sensi del quale “Nei rapporti tra arbitrato e processo non si applicano regole corrispondenti agli artt. 44, 45, 48 (…) e 295“.
Nondimeno, ha pure aggiunto, citando un precedente della Cassazione (Cass., Sez. III Civ., 9 giugno 2005, n. 12124, disponibile qui) che “il rapporto di pregiudizialità tra due liti, che impone al giudice di sospendere il processo ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., ricorre solo quando la decisione della prima influenzi la pronuncia che deve essere resa sulla seconda, nel senso che sia idonea a produrre effetti relativamente al diritto dedotto in lite e che possa, quindi, astrattamente configurarsi il conflitto di giudicati. Ne consegue che la natura privata dell’arbitrato e del provvedimento che ne deriva, escludendo il pericolo di un contrasto di giudicati, esclude anche la possibilità per il giudice di sospendere la causa in attesa della definizione di una lite pendente davanti agli arbitri o in relazione alla quale sia prevista la definizione a mezzo di arbitrato“.
Ecco, questa affermazione è a mio parere scorretta: a seguito della riforma del 2006, infatti, è la legge stessa a prevedere che “(…) il lodo ha (…) gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria” (art. 824/bis cod. proc. civ.). Un conflitto tra giudicati può quindi realizzarsi.
Pertanto, il procedimento avanti il giudice statale non può essere sospeso ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ. in attesa della definizione del procedimento arbitrale non perché non può darsi un conflitto tra giudicati, ma perché è la legge a impedire espressamente tale sospensione.
Un ultimo profilo di interesse della pronunzia del Tribunale di Roma riguarda l’applicabilità, al caso sottoposto al suo esame, dell’art. 7 l. 218/1995. Questa norma disciplina il caso della contemporanea pendenza, avanti il giudice straniero e il giudice italiano, di una stessa causa (o di una causa pregiudiziale) e prevede che “Quando, nel corso del giudizio, sia eccepita la previa pendenza tra le stesse parti di domanda avente avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo dinanzi a un giudice straniero, il giudice italiano, se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetto per l’ordinamento italiano, sospende il giudizio (…)” (co. 1) e che “Nel caso di pregiudizialità di una causa straniera, il giudice italiano può sospendere il processo se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetti per l’ordinamento italiano” (co. 3).
Il Tribunale di Roma ha escluso che la disposizione in parola (art. 7 l. 218/1995) trovi applicazione nei rapporti tra giudice italiano e arbitrato estero. Al contrario, ha ritenuto che essa riguarda soltanto i rapporti tra giudice italiano e giudice straniero, come in effetti già aveva statuito la Suprema Corte (Cass., Sez. I Civ,. 25 settembre 2009, n. 20688, disponibile qui).
Questa soluzione mi pare corretta.
Nel sistema della l. 218/1995 la previa litispendenza in Italia rappresenta condizione ostativa al riconoscimento di un provvedimento giurisdizionale straniero (art. 64, lett. f) l. 218/1995).
Specularmente, la previa litispendenza all’estero impone al giudice italiano di sospendere il procedimento avanti a sé pendente, per l’appunto nell’attesa della definizione di quello pendente avanti il giudice straniero (art. 7 l. 218/1995).
La disciplina dettata dalla Convenzione di New York del 1958, su questo punto specifico, è invece diversa. Infatti, il riconoscimento di un lodo straniero non può essere negato, ai sensi della Convenzione di New York, in ragione della pendenza di un giudizio tra le stesse parti ed avente lo stesso oggetto (in argomento, si può vedere Cass., Sez. I Civ., 21 gennaio 2000, n. 671, disponibile qui).
Il procedimento avanti il giudice statale e il procedimento arbitrale (domestico o internazionale) procederanno dunque paralleli, fino al momento in cui il giudicato formatosi in uno dei due procedimenti (tendenzialmente quello arbitrale, vista la durata media di un processo in Italia) verrà fatto valere anche nell’altro.
Grazie per aver condiviso questa sentenza.
Ho una domanda banale e la risposta sarà già nel testo ma deve essermi sfuggita: l’opponente non ha eccepito il difetto di giurisdizione/competenza del Trib. di Roma in ragione della clausola compromissoria per arbitrato estero? Ad occhio e croce avrebbe ottenuto la revoca del d.i. provvisoriamente esecutivo.
Beka.
La società di progetto opponente non ha sollevato eccezione di compromesso; e a mio avviso tale eccezione non sarebbe stata fondata. Per quanto conosciamo della vicenda, infatti, una clausola compromissoria è contenuta nei patti parasociali tra i membri della joint venture (patti in relazione ai quali è stato promosso l’arbitrato a Singapore), ma non anche nel contratto, oggetto della cognizione del Tribunale di Roma, concluso tra uno dei membri di questa joint venture e la società di progetto (rispettivamente, venditore e acquirente dei pannelli fotovoltaici).
Grazie per la precisazione. Il dettaglio mi era sfuggito. Un saluto. Beka.