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Una recente pronuncia del Tribunale di Napoli (n. 4874 del 19 aprile 2016, disponibile qui) aderisce all’orientamento giurisprudenziale, in realtà ormai superato, secondo il quale sarebbero possibili due distinte tipologie di arbitrario societario: l’arbitrato societario previsto dall’art. 34 d.lgs. 5/2003 (ai sensi del cui co. 2, “La clausola compromissoria deve prevedere il numero e le modalità degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società (…)“); e l’arbitrato di diritto comune, fondato su una clausola compromissoria ex art. 808 cod. proc. civ., che potrebbe ancora essere inserita in statuto. È il così detto “doppio binario”, di cui già avevo parlato in questo post.
La vicenda oggetto della decisione del Tribunale di Napoli, in sintesi, è la seguente.
Una società in nome collettivo aveva due soli soci. Alla morte di uno dei due, l’erede di quest’ultimo non ha acquistato lo status socii e ha quindi convenuto in giudizio la società, per sentirne dichiarare l’intervenuto scioglimento (per l’appunto, per il venir meno della pluralità di soci), nonché per veder liquidata la sua quota. La società si è costituita in giudizio e ha eccepito l’incompetenza del Giudice statale, poiché l’art. 13 del suo statuto prevedeva una clausola compromissoria, ai sensi della quale era devoluta “qualsiasi controversia dovesse insorgere tra i soci, oppure tra alcuni di essi o tra i loro eredi e la società, circa l’interpretazione, l’esecuzione del presente contratto e per la quale non sia prevista la competenza inderogabile dell’Autorità Giudiziaria, alla cognizione di un arbitro amichevole compositore da scegliersi in accordo tra i soci in una persona di loro comune fiducia o in mancanza dal Presidente del Tribunale di L’Aquila“.
Il Tribunale di Napoli ha ritenuto che tale clausola – difforme rispetto al paradigma di cui all’art. 34 d.lgs. 5/2003 – fosse nondimeno valida e ha quindi dichiarato il proprio difetto di giurisdizione.
Mi pare che questa pronunzia sia erronea, e per più ragioni.
Innanzi tutto, da un punto di vista meramente formale, il Tribunale di Napoli avrebbe dovuto dichiarare la propria incompetenza (siccome era in effetti stato richiesto dalla società convenuta) o al più l’inammissibilità della domanda dell’attore (ove avesse ritenuto che la clausola statutaria prevedesse un arbitrato irrituale), certo non il proprio difetto di giurisdizione.
Ma al di là di questo aspetto per l’appunto meramente formale, ciò che mi ha sorpreso è che il Tribunale di Napoli abbia ritenuto valida la clausola compromissoria sopra riportata, affermando che “appare senz’altro più convincente l’orientamento maggioritario dei tribunali di merito, pronunciatisi sulla medesima questione, secondo cui la nuova disciplina dell’arbitrato societario sia da ritenersi peculiare e alternativa rispetto a quella disciplinata dal codice di rito, che rimane scelta discrezionale ad opera delle parti“.
In altri termini, il Tribunale di Napoli ha contraddetto l’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte (secondo la quale in tema di arbitrato societario non vi è alcun doppio binario e l’unica clausola compromissoria che può essere validamente inserita in uno statuto sociale è quella di cui all’art. 34 d.lgs. 5/2003) e lo ha fatto senza nemmeno indicare le ragioni che lo hanno indotto a far “rivivere” l’ormai superato orientamento di alcune Corti di merito che si erano espresse in termini favorevoli per il c.d. “doppio binario”.
Il risultato è quello di portare nuovamente incertezza su una questione (“doppio binario” o “binario unico”) che sembrava ormai aver trovato soluzione (in favore del “binario unico”). E questa incertezza purtroppo non potrà che avere conseguenze, sfavorevoli, sulla diffusione dell’arbitrato societario.