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Arbitrato societario: quali controversie sono arbitrabili? Che significato va attribuito all’art. 34 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, ai sensi del quale sono arbitrabili le controversie che hanno “ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale“?
Il Tribunale di Firenze sta sviluppando sul punto un orientamento molto interessante, di cui è espressione una recente pronunzia (Trib. Firenze, 8 settembre 2006, n. 2906, disponibile qui).
Di questo orientamento avevo già parlato in precedenza, in questo post; più in generale, il tema dell’arbitrabilità delle controversie societarie è stato trattato molte volte su questo blog (ad esempio, qui, qui e qui).
La controversia decisa dal Tribunale di Firenze non è particolarmente complessa: un socio di una società a responsabilità limitata ha impugnato una deliberazione assunta dall’assemblea di quest’ultima; la società si è costituita in giudizio e ha eccepito l’incompetenza del Giudice statale, poiché il suo statuto conteneva una clausola compromissoria per arbitrato societario; il Tribunale di Firenze ha accolto questa eccezione e dichiarato la propria incompetenza.
Perché, allora, la pronuncia in commento è interessante?
Il preteso vizio della delibera impugnata consisterebbe in questo: il socio impugnante afferma di non essere stato validamente convocato alla relativa assemblea. Questo vizio comporterebbe la nullità della deliberazione e quindi potrebbe dubitarsi dell’arbitrabilità della controversia.
Il Tribunale di Firenze ha affermato che tale controversia è arbitrabile e, per far ciò, ha compiuto una ricostruzione della materia accurata e condivisibile.
Ha ricordato, innanzi tutto, che per regola generale le controversie societarie, comprese quelle relative alla validità di delibere assembleari, sono arbitrabili quando hanno ad oggetto diritti disponibili: questo principio già era stato affermato dalla Cassazione, con sentenza della Sez. VI Civ., n. 17283 del 28 agosto 2015 (disponibile qui).
La controversia relativa alla pretesa invalidità di una delibera assembleare in ragione della mancata convocazione di un socio, poi, è arbitrabile: è vero, la delibera è nulla, ma questa nullità è sanabile se la delibera non viene impugnata entro tre anni (artt. 2379 e 2479/ter cod. civ.). Ancora una volta, si tratta di un principio già affermato dalla Suprema Corte: Cass., Sez. VI Civ., 20 settembre 2012, n. 15890 (disponibile qui).
Da questa regola particolare – sono arbitrabili le controversie su delibere in tesi nulle per assenza di convocazione di un socio – il Tribunale di Firenze ha poi tratto un principio generale: se la legge prevede la possibilità di sanatoria del vizio di una deliberazione, in conseguenza della mancata impugnazione della stessa entro un certo periodo di tempo, allora la controversia riguarda diritti disponibili ed è arbitrabile.
In definitiva, le uniche controversie non arbitrabili sarebbero quelle concernenti la validità di delibere che modificano l’oggetto sociale, prevedendo attività illecite o impossibili, che in effetti non sono sanabili.
A queste si devono poi aggiungere le controversie (sulle quali il Tribunale di Firenze non si è soffermato) per le quali la legge prevede l’intervento obbligatorio del pubblico ministero, che non sono arbitrabili ai sensi dell’art. 34, co. 5, d.lgs. 5/2003 (“Non possono essere oggetto di clausola compromissoria le controversie nelle quali la legge preveda l’intervento obbligatorio del pubblico ministero“).
Sono arbitrabili quindi le controversie relative alla delibera di approvazione del bilancio di esercizio? Secondo l’orientamento del Tribunale di Firenze, sì – e in ogni caso: qualsiasi vizio della delibera infatti si sana se essa non viene impugnata prima dell’approvazione del successivo bilancio (art. 2434/bis cod. civ.). La Suprema Corte, però, è di diverso avviso, come sappiamo: ritiene che le controversie in cui si lamenta un vizio del contenuto del bilancio non siano arbitrabili (mentre lo sarebbero quelle in cui si denuncia un vizio del procedimento assembleare).
Questo orientamento della Suprema Corte, però, non ha un vero fondamento normativo, e le sentenze che lo esprimono sembrano ignorare le altre sentenze, della stessa Suprema Corte, sulla base delle quali il Tribunale di Firenze ha fondato il suo ragionamento.
Non ci resta quindi che attendere una evoluzione della giurisprudenza della Cassazione – o in mancanza, un intervento del legislatore.