Roberto Oliva

Una recente pronuncia della Corte di Appello di Catanzaro (n. 1478 del 22 settembre 2016, disponibile qui) è interessante perché delinea chiaramente l’attuale orientamento giurisprudenziale in tema di arbitrabilità delle controversie societarie.

La fattispecie esaminata dalla Corte di Appello, da un punto di vista processuale, era abbastanza semplice.

Un socio di una società a responsabilità limitata aveva promosso azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di quest’ultima, attivando la procedura arbitrale prevista dallo statuto sociale.  Oltre al risarcimento dei danni subiti dalla società, aveva pure chiesto la revoca dell’amministratore ex art. 2476, co. 3, cod. civ.

L’amministratore, costituitosi nel procedimento arbitrale, ha contestato la competenza del Tribunale Arbitrale, la legittimazione attiva della parte attrice e in ogni caso l’infondatezza delle doglianze di quest’ultima.

Il Tribunale Arbitrale ha ritenuto di non essere competente sulla domanda di revoca dell’amministratore, ma solo sull’azione di responsabilità nei confronti dello stesso, sulla quale si è pronunziato, accogliendo le domande della parte attrice.

L’amministratore ha quindi impugnato il lodo avanti la Corte di Appello di Catanzaro, chiedendo che venisse annullato. A suo dire il Tribunale Arbitrale non sarebbe stato competente a pronunziarsi sulle domande formulate nei suoi confronti, che avrebbero riguardato un interesse collettivo insuscettibile di essere devoluto alla cognizione arbitrale (l’affermazione secondo la quale non sarebbero arbitrabili le controversie relative a interessi “collettivi” è un antico Leitmotiv della giurisprudenza della Suprema Corte, poi per fortuna abbandonato: esso è espresso ad esempio in Cass., Sez. I Civ., 25 maggio 1965, n. 999).  Dall’altro lato, l’amministratore ha pure lamentato una lesione, nel corso del procedimento arbitrale, del suo diritto di difesa.

Entrambe queste doglianze sono state respinte.  La doglianza più interessante, come accennato, è quella relativa all’arbitrabilità della controversia.

Sul punto, la Corte di Appello di Catanzaro ha innanzi tutto richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale “le controversie tra amministratori e società, anche se specificamente attinenti al profilo interno dell’attività gestoria ed ai diritti che ne derivano agli amministratori (quali, nella specie, quello al compenso), sono compromettibili in arbitri, ove tale possibilità sia prevista dagli statuti societari” (Cass., Sez. I Civ., 11 febbraio 2016, n. 2759, disponibile qui; sul punto è ancor più specifica Cass., Sez. I Civ., 19 febbraio 2014, n. 3887, disponibile qui, che però la Corte di Appello non richiama).

Passando poi a un punto di vista più generale, la Corte di Appello ha pure richiamato la giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale le controversie non arbitrali sono solo quelle relative a diritti indisponibili, ossia diritti protetti “mediante la predisposizione di norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione da parte dell’orientamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte” (Cass., Sez. I Civ., 12 settembre 2011, n. 18600, disponibile qui).  Si tratta del principio più volte riaffermato con riferimento alla ritenuta (non) arbitrabilità delle impugnazioni di bilancio, ove il vizio lamentato concerna il contenuto di quest’ultimo.

Abbiamo commentato più volte questo orientamento (da ultimo qui), che non mi convince, poiché trovo più persuasiva un’altra ricostruzione, che pure talvolta affiora nella giurisprudenza della Suprema Corte: “attengono a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri ex art. 806 cod. proc. civ., soltanto le controversie relative all’impugnazione di deliberazioni assembleari di società aventi oggetto illecito o impossibile, le quali danno luogo a nullità rilevabile anche di ufficio dal giudice, cui sono equiparate, ai sensi dell’art. 2479 ter cod. civ., quelle prese in assoluta mancanza di informazione” (Cass., Sez. VI Civ., 27 giugno 2013, n. 16265, disponibile qui e pure richiamata dalla Corte di Appello di Catanzaro).

Ora, tornando alla fattispecie in commento, le controversie relative alla responsabilità degli amministratori possono essere oggetto di rinunzia e transazione (art. 2394 cod. civ.).  Nessun dubbio quindi può sorgere sulla disponibilità del diritto in parola e correttamente la Corte di Appello ha confermato la sussistenza della giurisdizione del Tribunale Arbitrale e rigettato l’impugnazione del lodo.

Per concludere, un aspetto interessante è rimasto sullo sfondo: quello relativo alla istanza di revoca ex art. 2476, co. 3, cod. civ. dell’amministratore, sulla quale il Tribunale Arbitrale ha escluso la propria competenza.

Questa soluzione mi pare corretta.  La suddetta istanza ha natura senz’altro cautelare (anche se c’è chi dubita che possa essere proposta ante causam).  Gli arbitri societari hanno sì poteri cautelari, ma limitatamente alla possibilità di sospendere l’efficacia di deliberazioni sociali impugnate (art. 35, co. 5, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5).

Si tratta di una limitazione che mi pare poco ragionevole.  Da tempo si parla di una (nuova) riforma dell’arbitrato.  Speriamo che costituisca l’occasione per riconsiderare la questione dei poteri cautelari degli arbitri.

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