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Una recente pronunzia della Suprema Corte (Cass., Sez. I Civ., 20 giugno 2017, n. 15184, disponibile qui) affronta, tra gli altri e per quanto qui interessa, il tema della nomina degli arbitri ai sensi dell’art. 810, co. 2, cod. proc. civ. e in particolare quello dei limiti del potere-dovere del Presidente del Tribunale di sostituirsi alla parte rimasta inerte.
La vicenda sottoposta all’esame della Cassazione era la seguente: una società appaltatrice (in proprio e quale mandataria di un’ATI) ha agito nei confronti della stazione appaltante, promuovendo il giudizio arbitrale previsto dal contratto di appalto.
L’arbitrato si è concluso con la soccombenza della stazione appaltante, che ha impugnato il lodo avanti la Corte di Appello di Roma. Quest’ultima ha respinto tutte le doglianze formulate dalla stazione appaltante, che quindi ha proposto ricorso per cassazione.
Il motivo di ricorso maggiormente interessante è quello concernente la pretesa violazione delle disposizioni relative alla nomina del Tribunale arbitrale.
A parere della ricorrente, la parte convenuta in arbitrato potrebbe nominare il proprio arbitrato fino alla costituzione del Tribunale arbitrale, a nulla rilevando che nel frattempo sia intervenuta la nomina ex art. 810, co. 2, cod. proc. civ. da parte del Presidente del Tribunale. Si comprende quindi – nonostante non sia espressamente riferito nella sentenza in commento – che gli eventi si sono svolti come segue: la stazione appaltante, convenuta in arbitrato, non ha proceduto alla nomina dell’arbitrato che a essa competeva; la parte attrice in arbitrato ha quindi chiesto che il Presidente del Tribunale si sostituisse, nella nomina dell’arbitro, alla convenuta; il Presidente del Tribunale ha nominato l’arbitro accogliendo la richiesta della parte attrice in arbitrato; successivamente alla nomina da parte del Presidente del Tribunale, la convenuta ha nominato un suo arbitro; del Tribunale arbitrale ha però fatto parte l’arbitro nominato dal Presidente del Tribunale e non quello nominato tardivamente dalla convenuta.
La decisione della Suprema Corte è nel senso che il termine previsto per la nomina dell’arbitro da parte del convenuto non è perentorio (nel caso di specie, si trattava il termine di 20 giorni previsto dalla legge; ma lo stesso discorso può farsi anche per i termini eventualmente diversi previsti dalla clausola compromissoria o dal regolamento arbitrale, in caso di arbitrato amministrato). Una nomina successiva allo spirare di questo termine pertanto è pienamente valida ed efficace, non essendo configurabile alcuna decadenza. Nondimeno, nel momento in cui interviene la nomina da parte del soggetto cui compete il potere di sostituirsi alla parte inerte, quest’ultima non può più riattivarsi ed esercitare la facoltà di nomina che inizialmente le spettava.
Lo stesso principio già era stato espresso dalla Suprema Corte in un caso, menzionato dalla pronunzia in commento, in cui però la nomina tardiva era intervenuta prima di quella effettuata dal Presidente del Tribunale (Cass., Sez. I Civ., 2 dicembre 2005, n. 26257, disponibile qui).