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Non sono frequenti i casi di ricusazione degli arbitri – o almeno quelli di cui si ha notizia da provvedimenti giudiziari editi – sì che è particolarmente interessante una recente pronunzia della Corte di Cassazione (Cass., Sez. I Civ., 31 agosto 2017, n. 20615, disponibile qui), che si occupa precisamente di tale tema.
Nella vicenda decisa dalla Suprema Corte, una parte aveva proposto al Presidente del Tribunale di Milano istanza di ricusazione del presidente del Tribunale arbitrale, adducendo l’esistenza di rapporti economici con intenti corruttivi intercorsi tra l’arbitro ricusato e la controparte.
Il Tribunale di Milano ha accolto l’istanza, però non sulla base dei motivi addotti. Ha infatti ritenuto sussistente una forte contrapposizione tra la parte ricusante e l’arbitro ricusato, che si svolgeva anche in talune iniziative giudiziarie. Era quindi integrato il motivo di ricusazione di cui all’art. 815, co. 1, n. 4 cod. proc. civ. (“Un arbitro può essere ricusato: (…) 4) se egli stesso o il coniuge ha causa pendente o grave inimicizia con una delle parti, con un suo rappresentante legale, o con alcuno dei suoi difensori”).
Il provvedimento del Tribunale di Milano è stato impugnato dall’arbitro ricusato avanti la Suprema Corte. L’art. 815, co. 3, cod. proc. civ. prevede infatti che il provvedimento in parola non sia impugnabile e pertanto avverso lo stesso è stato proposto ricorso straordinario ex art. 111 Cost.
La Suprema Corte non ha esaminato il merito del ricorso, che ha invece dichiarato inammissibile. Ha infatti ritenuto che il provvedimento del Presidente del Tribunale sulla ricusazione è un provvedimento meramente ordinatorio e strumentale; un provvedimento, in altri termini, di volontaria giurisdizione, che non è soggetto a ricorso straordinario per cassazione (la questione era stata decisa nello stesso senso da Cass., Sez. VI Civ., 21 giugno 2012, n. 10359, disponibile qui).
Aggiunge la Suprema Corte che il provvedimento in parola è peraltro reso in un procedimento di cui non è parte l’arbitro ricusato, ma solo le parti della procedura arbitrale, che sono i soli soggetti interessati alla ricusazione (ossia i soli interessati a ottenere una pronunzia resa in posizione di terzietà).
Né sussiste, secondo la Cassazione, un pregiudizio al diritto di difesa dell’arbitro, che vedrebbe lesi suoi diritti soggettivi, quali il diritto all’immagine o quelli relativi agli aspetti di natura patrimoniale del rapporto con le parti del giudizio arbitrale. Ben al contrario, tali diritti, che difficilmente possono ricevere tutela nel procedimento ex art. 815 cod. proc. civ., potranno semmai essere fatti valere in un ordinario giudizio di cognizione.