Domanda riconvenzionale ed eccezione d’arbitrato

Roberto Oliva

Il Tribunale di Milano ha reso una interessante pronunzia in tema di rapporto tra domanda riconvenzionale ed eccezione d’arbitrato formulata dal convenuto.  Si tratta della sentenza n. 10728 del 21 novembre 2019 (disponibile qui).

Il caso deciso dal Tribunale di Milano riguardava le vicende di una società che gestiva un immobile sito nel centro storico di Milano. 

A seguito del decesso dei vecchi soci e al subentro dei loro eredi, i rapporti sociali si sono guastati e la società, che aveva le forme di una società in accomandita semplice, è stata trasformata in una società a responsabilità limitata.

Il socio accomandatario ha esercitato il recesso che gli riconosce la legge per il caso di trasformazione della società.  Non ha però ricevuto la liquidazione della quota (eccezion fatta per un acconto) e ha quindi agito avanti il Giudice statuale per ottenerla e ha convenuto in giudizio, oltre alla società, pure i suoi amministratori.

La società si è costituita, proponendo eccezione di arbitrato (lo statuto della società, allorquando era una società in accomandita, conteneva infatti una clausola compromissoria) e formulando pure una domanda riconvenzionale nei confronti del socio-amministratore, non espressamente subordinata al rigetto dell’eccezione di arbitrato.  Gli amministratori pure si sono costituiti proponendo eccezione di arbitrato.

Il Tribunale di Milano ha accolto l’eccezione di arbitrato e ha ritenuto che essa precludesse l’esame nel merito della vicenda, sia per quanto riguardava la domanda principale, del socio nei confronti della società, sia per quanto riguardava la domanda riconvenzionale, della società nei confronti del socio-amministratore.

Con riferimento alla domanda principale, il Tribunale di Milano ha ribadito (richiamando pure una sua precedente pronunzia: la n. 12539 del 9 novembre 2015) che la clausola compromissoria statutaria è opponibile al socio recedente.

Più complessa è la motivazione con riferimento a una questione in effetti a mio avviso più complicata: quella della competenza a decidere sulla domanda riconvenzionale formulata dalla società. 

Il Tribunale di Milano ha notato che la convenuta, attrice in riconvenzione, non ha subordinato l’esame della riconvenzionale al rigetto dell’eccezione di arbitrato; e ha pure notato che la parte attrice, convenuta in riconvenzione, non ha a sua sollevato eccezione di compromesso (“per comprensibili ragioni di coerenza processuale“, nota il Giudice).  Nondimeno, ha ritenuto che pure l’esame nel merito di questa domanda fosse precluso, alla luce della giurisprudenza di legittimità ad avviso della quale la formulazione di una domanda riconvenzionale, non espressamente subordinata al rigetto dell’eccezione di compromesso, non comporta rinunzia a quest’ultima (Cass., Sez. I Civ., 30 maggio 2007, n. 12684, disponibile qui).  Secondo tale orientamento giurisprudenziale, infatti, l’esame della domanda riconvenzionale sarebbe ontologicamente condizionato al mancato accoglimento dell’eccezione di compromesso, poiché la fondatezza di questa eccezione sarebbe incompatibile con l’esame della riconvenzionale.

Mi pare che questo orientamento, che si è formato su casi in cui il punto controverso tra le parti era quello riguardante l’eventuale rinuncia all’eccezione di compromesso, ma non quello concernente la cognizione sulla domanda riconvenzionale, sarebbe meritevole di approfondimento.  Due temi mi vengono in mente al riguardo: la natura dell’eccezione di compromesso, da un lato, e il divieto di venire contro il fatto proprio, come declinazione del generale dovere di correttezza processuale, dall’altro lato.  L’approdo sarebbe forse lo stesso cui perviene la citata giurisprudenza di legittimità, e il Tribunale di Milano nella pronunzia in commento, ma magari seguendo diverse strade.  Ne potrò tornare a parlare, se alcuna delle parti proporrà ricorso per regolamento di competenza, quando verrà pubblicata la pronunzia della Cassazione.

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