Ultrattività o autonomia della clausola compromissoria?

Roberto Oliva

Due provvedimenti, praticamente contemporanei, resi da due Tribunali sono giunti a conclusioni opposte.  Si tratta delle sentenze del Tribunale di Catania n. 1020 del 13 marzo 2020 (disponibile qui) e del Tribunale di Milano n. 2091 dell’11 marzo 2020 (disponibile qui).  Entrambi questi provvedimenti hanno seguito lo schema motivazionale di cui all’art. 118, co. 1, disp. att. cod. proc. civ.  Essi, in altri termini, sono entrambi motivati con il richiamo a precedenti.

Occorre quindi di verificare se i due Tribunali abbiano fatto buon uso dei precedenti da loro indicati.

Con sentenza dell’11 marzo 2020, il Tribunale di Milano ha ritenuto che la clausola compromissoria contenuta nello statuto sociale è opponibile a quanti abbiano perduto lo status socii in riferimento a tutte le controversie che trovano la loro matrice nel rapporto sociale, anche se insorte in tempo successivo all’esaurimento del rapporto.

Con sentenza del 13 marzo 2020, il Tribunale di Catania è giunto alla conclusione opposta: la clausola compromissoria non è opponibile a quanti abbiano perduto lo status socii.

La vicenda decisa dal giudice milanese concerneva l’obbligo di contribuzione di un socio di società consortile, mentre quella oggetto della cognizione del giudice catanese riguardava l’obbligo di rimborso di un finanziamento soci, ma non è questo l’elemento che ha portato a esiti opposti.

Il Tribunale di Catania richiama, a supporto della sua motivazione, l’autorità di Cass., Sez. VI Civ., 11 settembre 2017, n. 21036.  In quel caso, la Suprema Corte aveva ritenuto che non fosse opponibile al socio che aveva esercitato il recesso da una società in nome collettivo la clausola compromissoria contenuta nello statuto della società, che nel frattempo si era trasformata in società a responsabilità limitata.  La motivazione è chiara: atteso che il recesso è atto unilaterale recettizio che produce immediatamente i suoi effetti, il socio receduto “non è (…) più parte del rapporto societario che continua nella diversa forma organizzativa scaturita dalla trasformazione e non gli sono per questo opponibili le clausole statutarie – e dunque anche la clausola compromissoria – che governano il funzionamento della società nella mutata veste formale”.

Nulla di tutto ciò è avvenuto nella vicenda decisa dal Tribunale di Catania.  Per quanto è dato di comprendere dalla lettura della sentenza, infatti, la clausola compromissoria era presente nello statuto sociale anche al tempo in cui il socio nei cui confronti si voleva opporre tale clausola non aveva ancora perduto lo status socii.

L’invocazione del precedente di legittimità sopra indicato si risolve quindi in una motivazione solo apparente, non solo e non tanto poiché tale precedente è relativo a vicenda diversa, ma perché la sua ratio decidendi si fonda precisamente sulle peculiarità di quella vicenda, non riscontrate in quella conosciuta dal Tribunale di Catania.

Più solida, in quanto maggiormente adeguata in relazione al caso concreto, è la motivazione della pronunzia del Tribunale di Milano, resa anch’essa facendo riferimento a precedenti giurisprudenziali.

Il Tribunale di Milano invoca innanzi tutto un precedente di legittimità: Cass., Sez. I Civ., 22 gennaio 1999, n. 565.  Tale pronuncia riguardava una fattispecie affatto diversa, concernente doglianze che trovavano il loro titolo in un contratto di appalto.  Un passaggio della motivazione è però rilevante anche nel caso deciso dal Tribunale di Milano: “devono ritenersi deferite alla cognizione arbitrale, in virtù della clausola, tutte le controversie che trovano la loro matrice nel contratto, e quindi tutte le controversie relative all’esistenza, alla validità, all’estinzione, alla risoluzione, all’esecuzione del contratto, anche se insorte in tempo successivo all’esaurimento del rapporto contrattuale tra le parti purché relative a situazioni con questo costituite, ivi comprese quelle derivanti dalla intervenuta modificazione dei patti contrattuali”.

Il compito di coordinare questo principio con la vicenda oggetto della causa decisa dal Tribunale di Milano è assolto da altre precedenti pronunzie dello stesso ufficio, che la sentenza in commento espressamente richiama.

Estremamente chiare, al riguardo, sono Trib. Milano, 15 luglio 2017; e Trib. Milano, 23 gennaio 2017.  In entrambe queste decisioni, si sottolinea un aspetto di fondamentale importanza: anche in materia societaria, “il patto processuale di devoluzione in arbitrato (…) di una categoria di controversie deve ritenersi autonomo rispetto al contratto (…) cui inerisce, onde non solo ben può resistere all’invalidazione di quello che eventualmente sopraggiunga (…) ma prescinde dall’eventuale cessazione fra le parti degli (altri) effetti di tale rapporto” (in questi termini, la pronunzia del 2014).  In altri termini, “la questione della perdurante efficacia o meno della clausola (…) va risolta tenendo presente l’autonomia della convenzione di arbitrato rispetto al contratto cui accede, secondo principio ora espressamente enunciato dalla legge quoad validitatem” (così la decisione del 2017).

Ecco allora che può ricostruirsi il percorso logico della motivazione della sentenza in commento del Tribunale di Milano.  La clausola compromissoria per arbitrato rituale è autonoma rispetto al negozio cui accede.  L’autonomia della clausola compromissoria ha, come conseguenza, che essa non è attinta neppure dagli eventi estintivi del contratto in cui è inserita.  Non vi è nessuna ragione, di carattere logico o giuridico, per la quale il principio di autonomia, come appena succintamente definito, non debba trovare applicazione alla clausola compromissoria per arbitrato rituale contenuta in uno statuto sociale.  Conseguentemente, in caso di cessazione degli effetti del patto sociale, completa (come nel caso deciso dal Tribunale di Milano nel 2017) o limitata a un solo socio (come nelle altre vicende), la clausola compromissoria continua a operare e a devolvere alla cognizione degli arbitri le controversie relative al rapporto sociale. 

Non si tratta di ultrattività della clausola, ma di corretta applicazione del principio di autonomia.

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