Una recente pronunzia della Suprema Corte (Cass., Sez. VI Civ., 28 gennaio 2022, n. 2666, disponibile qui) affronta il tema della conclusione del patto arbitrale, tuttavia giungendo a conclusioni non condivisibili per più ragioni, che sinteticamente si espongono.
La vicenda prende origine dall’opposizione a un decreto ingiuntivo emesso sulla base di un contratto di noleggio che conteneva una clausola compromissoria. Il Tribunale aveva accolto l’eccezione di propria incompetenza in favore del Tribunale arbitrale in ragione della presenza della suddetta clausola, ritenendola approvata dal dipendente della società creditrice, ancorché non ne fosse il legale rappresentante. La ragione risiedeva nel fatto che il contratto era stato in ogni caso eseguito e ne veniva richiesto l’adempimento.
L’ordinanza conclude in maniera opposta al Tribunale, seguendo un percorso argomentativo che non convince.
In estrema sintesi, secondo la Corte, il fatto di rivolgersi al Tribunale ordinario urterebbe contro la volontà della parte di avvalersi della clausola arbitrale, il che porterebbe ad affermare che questa non può considerarsi riconosciuta tacitamente per il solo fatto di chiedere l’esecuzione del contratto nel quale è contenuta. In altri termini, si vorrebbe che il contratto azionato venga accettato per la sola parte che interessa all’attore, cioè limitatamente all’obbligo di ottenere il corrispettivo maturato, trascurando le ulteriori obbligazioni assunte.
Per la Corte, “l’argomento per cui il contratto non può essere scisso al suo interno, se è valido per ogni tipo di clausola sostanziale o sulla competenza comune, non può, come rilevato dal P.G., operare con riferimento alla clausola compromissoria per arbitrato rituale, la cui validità e la cui riferibilità al conflitto tra le parti deve essere oggetto di disamina”.
La Corte, pur ammettendo in linea di principio che la ripartizione fra arbitri e Giudici ordinari debba essere assimilata ad una questione di competenza, facendo peraltro riferimento a recenti decisioni, conclude che in caso di clausola arbitrale non valgano le regole applicabili alle questioni in materia di competenza territoriale, come invece si era sempre ritenuto. A dire della Corte, “ciò non comporta l’eliminazione di ogni distinzione tra giudice ed arbitro, evidenziandosi che il compromesso in arbitri esprime la rinuncia alla giurisdizione ordinaria e alla possibilità di proporre la domanda presso quest’ultima, ed anzi tale clausola precostituisce, in caso di conflitto fra contraenti, un percorso alternativo e non sostituibile di risoluzione fuori del processo civile” e, pertanto, la questione della competenza arbitrale debba essere giudicata in maniera diversa dalla competenza ordinaria.
Appare evidente la contraddittorietà del ragionamento seguito dalla Corte, nel senso che, prima afferma di essere in presenza di una questione di competenza, per cui il ricorso è ammissibile, poi conclude dicendo che la questione della validità e riferibilità della clausola arbitrale deve costituire oggetto di disamina, lasciando intendere che si tratta di una questione diversa dal mero accertamento di chi debba essere ritenuto competente sulla base della clausola invocata. E la disamina spetterebbe al Giudice ordinario, visto che a questo si rinvia.
La conclusione coerente con il ragionamento avrebbe dovuto invece portare al mantenimento della competenza arbitrale, lasciando agli arbitri di decidere in merito alla loro effettiva competenza, sulla base del noto principio della Kompetenz-Kompetenz, in forza del quale questi avrebbero potuto e dovuto esprimersi in merito alla validità della clausola che attribuiva loro il potere di decidere della controversia. Infatti, la clausola arbitrale doveva ritenersi valida ed efficace in quanto lo era il contratto azionato, del quale costituiva un elemento imprescindibile. Una diversa conclusione porterebbe ad ammettere la possibilità della modifica unilaterale del contenuto di un contratto, dal momento che lascerebbe all’attore la scelta di quali parti di questo ritenere effettivamente vincolanti.
Viene spontanea una domanda: cosa succede se il Giudice del rinvio ritiene che vi era una valida clausola arbitrale? Rimette in discussione la competenza già definita dalla Corte?
Altro punto non condivisibile, questo relativo al secondo motivo di cassazione, riguarda le considerazioni proposte in tema di approvazione espressa delle clausole vessatorie, in particolare della clausola arbitrale: la Cassazione ci aveva abituati a ritenerle approvate quando il contratto veniva prodotto per richiederne l’esecuzione (ex plurimis Cass., Sez. II Civ., 22 gennaio 2018, n. 1525), mentre questa ordinanza, facendo riferimento ad un precedente risalente nel tempo (Cass., Sez. I Civ., 15 giugno 1979, n. 3373), conclude in maniera opposta, sostenendo che la produzione del contratto non avrebbe soddisfatto il requisito della specifica approvazione della clausola compromissoria.
Anche sotto questo profilo la decisione non appare convincente, in quanto non si riesce a comprendere il perché del trattamento differenziato di cui dovrebbe beneficiare la clausola arbitrale rispetto alle altre clausole vessatorie. Non aiuta certamente a risolvere il dubbio il successivo approfondimento in merito alla approvazione delle clausole in blocco, che appare essere argomento diverso e non conferente: infatti, nei precedenti richiamati, la supposta approvazione in blocco mediante produzione in giudizio del contratto superava la questione della redazione del testo contrattuale, in quanto l’approvazione era data per scontata a prescindere dalla effettività del richiamo corretto alle singole clausole, previsto all’art. 1341 cod. civ.