Due recenti pronunzie, resa una dalla Corte d’appello di Milano e l’altra dal Tribunale di Milano, forniscono una buona occasione per svolgere una riflessione in punto riparto dell’onere delle spese nel caso in cui un procedimento promosso avanti il Giudice statuale (si trattava, in entrambi i casi, di opposizioni a provvedimenti monitori) si concluda con un provvedimento in rito, in ragione dell’accoglimento dell’eccezione di compromesso.
Conviene prendere le mosse dalla pronunzia in un certo senso più semplice e lineare, ossia quella del Tribunale di Milano (sentenza n. 5606 del 23 giugno 2022, disponibile qui).
La fattispecie oggetto della cognizione del Giudice statuale può essere così descritta: una parte ha ottenuto dal Tribunale di Milano un decreto ingiuntivo per il pagamento del credito che vantava nei confronti dell’altra parte. Quest’ultima, nel successivo giudizio di opposizione, ha eccepito la nullità del provvedimento di ingiunzione per incompetenza del Tribunale adito, in forza di clausola compromissoria. Il Tribunale, nel decidere la controversia, ha richiamato il costante insegnamento della Suprema Corte secondo cui “l’esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo (atteso che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla l’emissione di provvedimenti inaudita altera parte), ma impone a quest’ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull’esistenza della detta clausola, la declaratoria di nullità del decreto opposto e la contestuale remissione della controversia al giudizio degli arbitri”. Pertanto, il Giudice ha revocato il decreto ingiuntivo e ha rimesso le parti davanti agli arbitri.
Quanto alla regolamentazione delle spese processuali, il Tribunale correttamente ha ritenuto che non vi fossero motivi per compensare le spese processuali, “considerato che la scelta dell’ingiungente di ricorrere al procedimento monitorio nonostante la presenza della clausola arbitrale è soggetta al rischio che tale clausola possa essere invocata, legittimamente, dall’ingiunto in fase di opposizione”. L’accoglimento dell’opposizione, infatti, rende parte vittoriosa l’opponente con la conseguenza che non è ravvisabile una soccombenza reciproca o una delle ipotesi previste dall’art. 92 cod. proc. civ. Il creditore è così condannato, ex art. 91 cod. proc. civ., a pagare le spese processuali.
La fattispecie de quo invero non sembra riconducibile né alle ipotesi descritte dal vigente art. 92, co. 2, cod. proc. civ. né a quelle di cui alla pronunzia della Corte costituzionale 7 marzo/19 aprile 2018, 77 (evenienze sopravvenute che sfuggono alla disponibilità delle parti o situazioni del tutto impreviste e imprevedibili per la parte che agisce, in grado di costituire una “remora ingiustificata” a far valere i propri diritti).
Suscitano perplessità, invece, alcune decisioni che, in fattispecie analoghe a quella oggetto della sentenza in esame, riconoscono comunque la compensazione delle spese.
Non è condivisibile, ad esempio, quanto affermato in una recente sentenza del Tribunale di Cuneo (Trib. Cuneo, 15 marzo 2022, n. 262), secondo cui le spese sarebbero compensate “stante l’adesione della parte opposta all’eccezione di arbitrato sollevata da parte opponente”. La medesima considerazione si può fare con riferimento ad un’altra pronuncia dello stesso Tribunale (Trib. Cuneo, 15 marzo 2022, n. 261) che ha ritenuto che “la conclusione del procedimento con una pronuncia preliminare e la sostanziale adesione della società opposta all’eccezione di arbitrato formulata da parte opponente, rappresentano giusti motivi per dichiarare integralmente compensate tra le parti le spese di lite ex art. 92 c.p.c. le spese sono state compensate sulla base del rilievo”.
Non è dato comprendere poi per quale ragione le spese possano essere compensate in conseguenze del fatto che la pronuncia “è limitata alla verifica della giurisdizione dell’autorità giudiziaria investita senza esame del merito” (così Trib. Parma, 21 aprile 2021, n. 675).
Più complessa è la vicenda delibata dalla Corte d’appello di Milano (sentenza n. 2230 del 24 giugno 2022, disponibile qui).
La fattispecie, riguardante la circolazione della clausola compromissoria, era la seguente: una parte (A) aveva ceduto a un’altra parte (B) un credito che vantava nei confronti di un terzo (C). B, per il pagamento di tale credito, ha ottenuto dal Tribunale di Milano un decreto ingiuntivo che successivamente è stato opposto da C, il quale ha eccepito che il Tribunale non fosse competente ad emettere il provvedimento poiché il credito nasceva da un contratto contenente una clausola compromissoria. Il Tribunale ha accolto l’eccezione di incompetenza e ha dichiarato nullo il decreto ingiuntivo, condannando B al pagamento delle spese di lite. B ha proposto appello avverso il capo della sentenza che, nel regolamentare le spese, poneva le stesse interamente a suo carico.
Con la sentenza in esame, la Corte d’Appello, muovendo dall’autonomia espressa dall’art. 808 cod. proc. civ. della clausola compromissoria rispetto al contratto in cui è inserita, aderisce al più recente orientamento della Cassazione secondo cui è “escluso che la cessione del contratto contenente la clausola comporti altresì, in difetto di specifico accordo, automatica cessione della clausola stessa; a maggior ragione, è escluso che il subentro automatico nella clausola possa verificarsi a favore del mero cessionario del credito, protagonista di una vicenda di contenuto ed effetti assai minori, la quale prescinda dalla volontà del debitore ceduto e non coinvolge l’intera posizione contrattuale, con tutti i diritti ed obblighi ad essa relativi”.
Secondo tale interpretazione, il debitore ceduto può sempre avvalersi della clausola compromissoria, perché altrimenti sarebbe privato del diritto di far decidere da arbitri le controversie relative al credito a causa di un accordo cui è rimasto estraneo. D’altra parte, è pacifico che egli conservi la facoltà di opporre al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto sollevare al creditore originario.
La possibilità di invocare la clausola compromissoria è invece esclusa per il cessionario del credito. Quest’ultimo, infatti, non subentra nel negozio compromissorio, sempre in ragione della autonomia di esso.
In questo modo, tuttavia, come ha fatto notare autorevole dottrina, la clausola compromissoria circolerebbe, per così dire, a senso unico. Di essa potrebbe infatti servirsi il debitore ceduto.
La sentenza, in conclusione, ritiene che “la situazione in cui viene a trovarsi il cessionario di un credito che inerisce ad un contratto ove è presente una clausola compromissoria, rappresenta un rischio che, in quanto prevedibile, il cessionario decide consapevolmente di assumersi nel momento in cui addiviene alla stipula del contratto di cessione e che dunque non potrà mai portare ad una deroga dei principi generali espressi dall’art. 91 c.p.c.”.
Per tutte le ragioni suesposte, secondo la Corte d’Appello, non vi sono motivi per derogare al principio di legge, esaminato più sopra, secondo il quale le spese di lite seguono la soccombenza. La pronuncia di nullità del decreto ingiuntivo preclude dunque la possibilità di riconoscere a favore di B le spese relative alla fase monitoria.
In conseguenza dell’inquadramento della Cassazione, quindi, il debitore ceduto può paralizzare tutte le iniziative del creditore: qualora quest’ultimo agisse avanti al Giudice ordinario, il debitore potrebbe vittoriosamente eccepire l’esistenza della clausola arbitrale; qualora promuovesse l’azione in sede arbitrale, il debitore potrebbe altrettanto vittoriosamente eccepirgli la impossibilità di invocare la clausola compromissoria. In ogni caso, dunque, il cessionario soccombente è condannato al pagamento delle spese processuali.
Una tale ricostruzione, tuttavia, non soddisfa: il debitore ceduto ha sicuramente il diritto di conservare immutata la propria posizione contrattuale, anche in relazione all’accordo compromissorio, dal momento in cui il negozio di cessione del credito è concluso senza la sua partecipazione (art. 1260, co. 1, cod. civ.). Per questo motivo, egli deve poter opporre al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al creditore originario.
Questa esigenza di tutela della sfera giuridica del debitore, però, scompare quando quest’ultimo è convenuto dal cessionario del credito proprio in sede arbitrale, in conformità alle pattuizioni stabilite con l’originario creditore. In tale ipotesi, l’eccezione sollevata dal debitore, secondo cui egli non avrebbe concluso la clausola compromissoria con il nuovo creditore e pertanto la competenza degli arbitri dovrebbe essere declinata in favore del Giudice ordinario, rappresenta una strumentalizzazione finalizzata solamente ad allungare i tempi della giustizia. Non sussistono validi motivi per i quali ritenere che un tale comportamento sia meritevole di protezione.
Alla luce di siffatte considerazioni, non sembra pertanto ottimale la ricostruzione che subordina l’operatività della clausola ad una scelta del debitore ceduto. Appare ragionevole e maggiormente rispondente a esigenze di certezza dei traffici commerciali, invece, ritenere che la clausola compromissoria abbia un carattere accessorio al credito litigioso e che, quindi, si trasferisca automaticamente con la cessione del credito o del contratto (arg., come autorevolmente suggerito, ex art. 1263 cod. civ.). Del resto, anche nel caso di cessione del credito garantito da una fideiussione, quest’ultima è liberamente cedibile al cessionario insieme al credito, non essendo necessario l’espresso consenso del ceduto.