Impugnazione della delibera assembleare per nullità e compromettibilità in arbitri

Il Tribunale di Milano ribadisce, con una recente pronunzia (n. 8411 del 26 ottobre 2022, disponibile qui), l’ampia operatività delle clausole arbitrali contenute negli Statuti sociali, da estendersi anche all’impugnazione delle deliberazioni assembleari con la sola eccezione delle c.d. nullità insanabili.

In particolare, parte attrice, coerede di un socio deceduto ed esclusa dalla partecipazione sociale in ragione dell’esercizio di una clausola di gradimento da parte dei soci superstiti, agiva contro la società di capitali per sentir dichiarare la nullità della deliberazione con la quale si prendeva atto dell’esclusione e del conseguente accrescimento della quota del socio non ammesso, in favore degli altri soci.

La società, costituitasi in giudizio, eccepiva che la causa dovesse essere trattata in sede arbitrale in ragione di una disposizione dello Statuto che demandava agli arbitri tutte le controversie tra la società ed i soci.

Parte attrice, tuttavia, replicava che le censure mosse riguardavano nullità c.d. insanabili in quanto afferenti alla violazione di diritti indisponibili. Pertanto, il regime di tali nullità avrebbe dovuto essere sottratto alla competenza arbitrale secondo orientamento giurisprudenziale consolidato. Sosteneva, altresì, l’insanabilità dell’invalidità invocata affermando che l’erede del socio premorto non fosse legittimato a convocare l’assemblea per via di un difetto di autorizzazione da parte della comunione ereditaria venutasi a creare con la morte del de cuius.

Proseguiva l’attrice affermando che, in ogni caso, la presa d’atto dell’esclusione e dell’accrescimento avrebbero prima dovuto essere iscritti nel registro delle imprese.

Sulla base di tali assunti, l’impugnante lamentava la contrarietà dei deliberati a norme imperative ed all’ordine pubblico e, quindi, riteneva che le relative questioni non potevano considerarsi disponibili alla competenza arbitrale.

Il Tribunale, ritenuto che il giudizio rientrasse nell’ampio perimetro applicativo della clausola arbitrale,  basa la propria decisione sull’analisi circa la natura disponibile o meno delle materie invocate dall’attrice, osservando come le predette censure riguardassero, in realtà, argomenti estranei all’ordine pubblico, spiegando che, invece, erano inerenti a questioni strettamente individuali dell’aspirante socia. Riguardo al difetto di convocazione, la critica era infatti confinata alle qualità ed ai poteri dell’erede convocante e quindi al mero rapporto successorio (o di comunione) tra persone fisiche, che rimane ovviamente estraneo al contratto sociale.

Mentre con riferimento all’esercizio della clausola di gradimento, osserva il Tribunale come non possa che avere rilevanza puramente endosocietaria; e non c’è spazio per obiezioni in proposito dato che si discute qui della posizione di una persona fisica che aspirava a diventare socia dopo la morte del de cuius.

Per il che, il Tribunale non ha trovato ostacoli alla disponibilità dei diritti in discussione e quindi alla compromettibilità in arbitri e ciò anche in virtù del richiamo all’art. 34, co. 3, d.lgs. 5/2003 secondo il quale la clausola arbitrale “è vincolante per la società e per tutti i soci inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto di controversia”.

Appurata la stretta attinenza all’individualità dell’attrice dei diritti da ella rivendicati e, quindi, la loro disponibilità, il Giudice ambrosiano non ha potuto che attenersi al proprio pregresso orientamento secondo cui: “l’unico limite all’arbitrabilità di controversie anche fondate su rapporti sociali è l’indisponibilità dei diritti che coinvolgono, ormai circoscritta alle ipotesi di violazione di norme inderogabili di legge poste a tutela di interessi sovraordinati a quelli della società e dei suoi soci” (Trib. Milano, 23 aprile 2018, n. 4594). Posizione che, del resto, è stata ormai unanimemente assunta dalla giurisprudenza (ex multis: Cass., Sez. VI Civ., 25 giugno 2014, n. 14340, e Trib. Venezia, 08 gennaio 2015, n. 35).

Pertanto il Tribunale ha respinto le domande di parte attrice dichiarando la propria incompetenza in favore degli arbitri.

A margine, merita interesse il fatto che il Tribunale non abbia ritenuto di verificare perché la controversia in questione si può considerare insorta tra la società e il socio, come effettivamente previsto dalla clausola in parola (la riserva arbitrale demandava agli arbitri tutte le controversie tra società, soci, amministratori e liquidatori).

In effetti, parte attrice, essendo stata colpita dallo “sgradimento” dei soci superstiti, non risulta avere mai assunto la qualità di socio e, quindi, non pareva così scontato che ella potesse annoverarsi nella lista di soggetti contemplati dal testo della clausola arbitrale.

Probabilmente il Giudice ha ritenuto di non soffermarsi sull’aspetto meramente tuzioristico concernente la parola “socio” ed ha assorbito tale passaggio nel consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui: “lo statuto della società, in quanto atto negoziale, deve essere interpretato secondo i canoni ermeneutici previsti dagli artt. 1362 e ss. cc, indagando quale sia stata la comune volontà delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole e che l’art. 808 quater cpc dispone che nel dubbio la convenzione d’arbitrato deve essere interpretata nel senso che la competenza arbitrale si estenda a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce” (ex multis, Trib. Torino, 17 giugno 2021, n. 1012; App. Napoli, 09 settembre 2022, n. 3718).

Del resto, a conclusione analoga giungeva, per esempio, il Tribunale di Venezia (16 agosto 2016, n. 2178) il quale, ritenendosi incompetente, affermava che “una clausola statutaria che preveda che “le controversie che potessero insorgere tra la societa’ e i soci, gli amministratori e i liquidatori in dipendenza del presente statuto, saranno decise da un collegio di tre arbitri nominati dal Presidente del Tribunale di Treviso”, debba essere interpretata nel senso che sussista la competenza del collegio arbitrale per tutte le controversie dipendenti dal rapporto sociale (nei limiti della loro arbitrabilita’, secondo la disciplina prevista dall’art. 34 D.Lgs. n. 5/2003), ivi comprese le controversie in tema di impugnazione di delibere assembleari”.

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