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Omessa pronuncia: nessun annullamento del lodo viziato se la domanda disattesa dovrebbe comunque essere rigetta

La recente decisione della Cassazione n. 32796 del 8 novembre 2022 (disponibile qui) ha risolto una delicata questione processuale, statuendo che si applica anche al procedimento di impugnazione del lodo arbitrale il principio di diritto per cui in ragione dei “principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo (…) e in virtù di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto”.

Occorre quindi di verificare, partendo dal caso di specie, se la conclusione della Suprema Corte sia condivisibile o no.

Il Collegio arbitrale aveva accertato e dichiarato l’inadempimento contrattuale di O.P. Apol Industriale S.C.A. (d’ora in poi APOL), per aver consegnato a Solana s.p.a. una quantità di pomodoro notevolmente inferiore, rispetto alla media del territorio, determinando altresì a carico di APOL e a favore di Salana s.p.a. una penale di € 248.354,00. Nel lodo però gli arbitri omettevano di pronunciarsi sulla domanda riconvenzionale proposta da APOL, preordinata ad ottenere l’addebito della penale a Solana, per non avere ritirato il quantitativo di pomodoro offerto da APOL. Quest’ultima dunque proponeva impugnazione per nullità del lodo arbitrale per omessa pronuncia sulla predetta istanza.

La Corte d’Appello di Milano, pur dando atto che in effetti il lodo non aveva pronunciato sulla domanda riconvenzionale, cionondimeno ha rigettato l’impugnazione, ritenendo – in realtà erroneamente – che tale domanda fosse stata rinunciata in quanto non riproposta nelle conclusioni. La Corte d’Appello ha considerato che, in ogni caso, l’accertamento contenuto nel lodo, relativo all’inadempimento di APOL, si poneva in contrasto logico-giuridico con la domanda riconvenzionale dalla stessa proposta.

Avverso tale decisione APOL proponeva ricorso per Cassazione sulla base di due motivi, entrambi deducenti la violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 829, comma 1, n. 12, cod. proc. civ.

Nello specifico, con la prima doglianza parte ricorrente rilevava come il principio di diritto affermato dalla sentenza impugnata – relativo all’implicito rigetto delle domande/eccezioni ove incompatibili con l’impostazione logico-giuridica seguita dalla sentenza sulle domande/eccezioni espressamente decise – trovasse applicazione solo nel caso in cui difetti un’espressa statuizione nel giudizio in ordine alla domanda e/o eccezione di cui sia stato omesso l’esame. Infatti, solo in questo caso si può presumere che il giudice, pur non prendendo espressamente in esame quella domanda/eccezione l’abbia nondimeno considerata e disattesa, motivando espressamente su altre domande/eccezioni incompatibili sul piano logico-giuridico con quelle non oggetto di espressa

pronuncia. Di contro, il lodo arbitrale non si era limitato a non pronunciare sulla domanda riconvenzionale diretta ad ottenere la condanna di Solana s.p.a. al pagamento della penale, ma aveva specificatamente motivato al riguardo, dichiarando espressamente rinunciata quella domanda. Era stata pertanto questa la ragione per cui gli arbitri avevano omesso di provvedere sulla domanda riconvenzionale, e non già per l’implicito rigetto derivante dall’accoglimento della domanda principale.

Con il secondo motivo si denunciava il vizio della sentenza impugnata per aver ritenuto implicitamente rigettata la domanda riconvenzionale di APOL, per incompatibilità logico-giuridica con la domanda accolta di Solana s.p.a., nonostante l’espressa presenza nel lodo di una declaratoria di rinuncia alla domanda riconvenzionale.

La Suprema Corte, ritendo entrambi i motivi di doglianza infondati, rigettava il ricorso, disponendo solo la modifica della motivazione ex art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ. Infatti pur concordando con la ricorrente “che il motivo per cui il collegio arbitrale non si è pronunciato sulla domanda riconvenzionale non risiede tanto nella indiscutibile incompatibilità logico-giuridica di quest’ultima con la domanda principale, quanto nell’erroneo convincimento che tale riconvenzionale fosse stata rinunciata, dall’altro, non è, tuttavia, comunque ipotizzabile un rinvio alla Corte d’Appello”. E ciò per la sua “inutilità” perché il giudice del rinvio non avrebbe potuto che rigettare (per la sua indiscutibile infondatezza) la domanda per la quale vi era stata l’omessa pronuncia (in ragione della sua incompatibilità logico-giuridica con la domanda principale già accolta con statuizione ormai passata in giudicato).

L’estensione a tutte le decisioni giurisdizionali, e quindi anche al lodo arbitrale, dell’orientamento consolidato sull’art. 384 cod. proc. civ. volto a ridurre al minimo le ipotesi di cassazione con rinvio è condivisibile, alla luce del principio di economia processuale e a quello della ragionevole durata del processo, come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost.

Nel nostro sistema processuale il giudizio di rinvio assume un ruolo del tutto residuale. Una strada da imboccare solo ove non sia possibile farne a meno.

Chiara Spaccapelo:
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