Una recente decisione della Corte d’appello di Milano (C. App. Milano, 23 giugno 2021, n. 1946, disponibile qui) esamina un tema di grande interesse, e di una certa rilevanza pratica, in relazione al quale però sono rari i precedenti editi: quello del rapporto tra un procedimento arbitrale e un parallelo procedimento avanti il Giudice statuale avente il medesimo oggetto (caso poi complicato dalla circostanza che, nella specifica vicenda, il procedimento statuale era un procedimento penale).
Il (nuovo?) progetto di riforma
La riforma del processo civile, come è stato ampiamente riportato dai media generalisti, è oggetto di un disegno di legge delega di iniziativa governativa (AS 1662, disponibile qui). Sull’impianto immaginato dal precedente Governo, il nuovo ha dichiarato la sua intenzione di intervenire, in maniera più o meno radicale.
Nei giorni scorsi, sono circolate le bozze degli emendamenti che il Governo avrebbe intenzione di proporre, accompagnati da una relazione illustrativa (disponibili, rispettivamente, qui e qui).
L’articolato contiene una disposizione espressamente dedicata all’arbitrato (art. 11), sulla quale si possono compiere alcune riflessioni.
Arbitrato multiparti
L’arbitrato costituisce, sia da un punto di vista storico che in una buona parte delle sue manifestazioni, un meccanismo di risoluzione delle controversie che si possono definire a struttura semplice, o bilaterale: controversie, in altri termini, che vedono tra loro contrapposte due parti, una che nel procedimento assumerà le vesti della parte attrice, e l’altra che invece sarà convenuta.
Non a caso, il modello legale di formazione del Tribunale arbitrale, contenuto nell’art. 810 cod. proc. civ., riflette questa struttura binaria e prevede che ciascuna parte nomini un arbitro e che il terzo arbitro sia nominato congiuntamente dagli altri due.
Non sono però infrequenti i casi in cui la controversia abbia una struttura complessa, vuoi perché le parti del rapporto oggetto della cognizione arbitrale sono più di due, vuoi perché in un momento successivo alla conclusione del patto arbitrale si realizzano fenomeni che aumentano il numero di parti: un esempio evidente è il caso della successione, per effetto della quale a un dante causa subentrano due o più successori.
Ultrattività o autonomia della clausola compromissoria?
Due provvedimenti, praticamente contemporanei, resi da due Tribunali sono giunti a conclusioni opposte. Si tratta delle sentenze del Tribunale di Catania n. 1020 del 13 marzo 2020 (disponibile qui) e del Tribunale di Milano n. 2091 dell’11 marzo 2020 (disponibile qui). Entrambi questi provvedimenti hanno seguito lo schema motivazionale di cui all’art. 118, co. 1, disp. att. cod. proc. civ. Essi, in altri termini, sono entrambi motivati con il richiamo a precedenti.
Occorre quindi di verificare se i due Tribunali abbiano fatto buon uso dei precedenti da loro indicati.
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La clausola di ordine pubblico
Una recente pronunzia della Corte di Cassazione (n. 1788 del 28 gennaio 2021, disponibile qui) consente di svolgere alcune riflessioni con riferimento al concetto di ordine pubblico e alla sua rilevanza in materia arbitrale.
Il 2020 di Arbitrato in Italia
Fiumi d’inchiostro, parole retoriche e attente considerazioni sono state spese per descrivere quanto è stato tragico e particolare l’anno 2020.
Non intendo unirmi a questo coro; desidero però soffermarmi su due aspetti, che meritano a mio avviso l’attenzione dei lettori di questa rivista.
Arbitrato societario
L’arbitrato societario, introdotto con il d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, ha suscitato, e continua a suscitare, numerose incertezze interpretative, che rappresentano forse uno dei fattori che hanno limitato le potenzialità, e di conseguenza la diffusione, dell’istituto.
Principio di autonomia
Il principio di autonomia della clausola compromissoria è oggi universalmente riconosciuto, dopo essersi affermato nel corso della prima metà del XX secolo: dapprima in alcuni ordinamenti e successivamente in altri.
Per impiegare le parole del nostro legislatore, esso può essere sintetizzato così come segue: “La validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto cui si riferisce” (art. 808, co. 2, cod. proc. civ.).
Una modesta proposta
Una condizione per l’accesso alle risorse del c.d. Recovery Fund è rappresentata dalla presentazione di un “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, che deve essere coerente con le raccomandazioni specifiche rivolte a ciascuno Stato membro dalla Commissione europea.
Il Governo italiano ha recentemente reso disponibile un documento preliminare, denominato “Linee guida per la definizione del piano nazionale di ripresa e resilienza” (disponibile qui). Un documento snello, che consta di una quarantina di pagine, due delle quali dedicate alla giustizia.
E proprio con riferimento alla giustizia particolarmente vaghe sono le indicazioni contenute in queste linee guida: si enuncia l’obiettivo di ridurre la durata dei processi, si annunciano riforme della giustizia civile, penale e tributaria, si indica il tema della necessità di interventi di natura strutturale sull’organizzazione dell’amministrazione della giustizia. Null’altro.
A seguito della pubblicazione di queste linee guida, l’Unione Nazionale delle Camere Civili, ossia l’associazione forense rappresentativa degli avvocati civilisti italiani, ha diffuso una proposta di piano straordinario per la giustizia civile (disponibile qui). Una iniziativa meritoria, poiché avvia un dibattito su possibili misure concrete.
Inesistenza della clausola compromissoria
Un Tribunale Arbitrale con sede a Padova ha recentemente esaminato talune interessanti questioni con riferimento ad un’eccezione di incompetenza degli arbitri (il lodo, disponibile qui, reca la data del 21 gennaio 2020).
La controversia concerneva un preteso rapporto contrattuale tra una banca e una società, i cui termini erano contenuti in un accordo quadro e in un contratto di interest rate swap.
A dire della società, però, i suddetti documenti contrattuali non erano mai stati sottoscritti dal suo legale rappresentante e la firma ivi contenuta doveva pertanto ritenersi apocrifa. Conseguentemente, la società ha agito per ottenere la restituzione di quanto corrisposto alla banca in esecuzione di rapporti giuridici in realtà inesistenti.
L’aspetto interessante della vicenda è costituito dal fatto che la parte attrice ha invocato l’applicazione della convenzione di arbitrato contenuta nel contratto che, a suo dire, essa mai aveva concluso.
La vicenda è poi ulteriormente complicata dalla circostanza che, all’esito della consulenza tecnica disposta nel corso del procedimento, è emerso che effettivamente la firma apposta sui contratti contestati non era del legale rappresentante dell’attrice. La convenuta, che pur nulla aveva eccepito anche dopo il deposito della relazione peritale, nel momento in cui il Tribunale Arbitrale ha invitato le parti a esprimere la loro posizione, ha denunciato il difetto di competenza degli arbitri, in mancanza di una valida clausola compromissoria.