Molto è stato scritto, e molto sarà ancora scritto, sulla riforma della disciplina dell’arbitrato contenuta nel d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149.
L’innegabile merito di questa riforma è quello di avvicinare il nostro sistema a quello di altri ordinamenti, che si riconoscono nella nostra medesima prospettiva di civiltà.
In questo senso vanno sicuramente interpretate le modifiche che hanno (finalmente) permesso agli arbitri di emettere provvedimenti cautelari, e quelle relative alla disclosure e alla ricusazione degli arbitri.
Altre modifiche ci pongono poi tra gli ordinamenti più avanzati: basti pensare a quella concernente l’individuazione della legge applicabile, che consente alle parti e agli arbitri di fare riferimento a norme sostanziali che non siano state prodotte da alcun ordinamento statuale.
In questo contesto, di generale e grande soddisfazione, non possono però essere taciuti i limiti della riforma, che per di più derivano da formulazioni infelici delle nuove norme (a loro volta, conseguenza dell’urgenza con le quale sono state approvate, per di più con una anticipazione della loro entrata in vigore).
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