Alcune riflessioni sulla riforma dell’arbitrato

Molto è stato scritto, e molto sarà ancora scritto, sulla riforma della disciplina dell’arbitrato contenuta nel d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149.

L’innegabile merito di questa riforma è quello di avvicinare il nostro sistema a quello di altri ordinamenti, che si riconoscono nella nostra medesima prospettiva di civiltà.

In questo senso vanno sicuramente interpretate le modifiche che hanno (finalmente) permesso agli arbitri di emettere provvedimenti cautelari, e quelle relative alla disclosure e alla ricusazione degli arbitri.

Altre modifiche ci pongono poi tra gli ordinamenti più avanzati: basti pensare a quella concernente l’individuazione della legge applicabile, che consente alle parti e agli arbitri di fare riferimento a norme sostanziali che non siano state prodotte da alcun ordinamento statuale.

In questo contesto, di generale e grande soddisfazione, non possono però essere taciuti i limiti della riforma, che per di più derivano da formulazioni infelici delle nuove norme (a loro volta, conseguenza dell’urgenza con le quale sono state approvate, per di più con una anticipazione della loro entrata in vigore).

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Principio di autonomia

Il principio di autonomia della clausola compromissoria è oggi universalmente riconosciuto, dopo essersi affermato nel corso della prima metà del XX secolo: dapprima in alcuni ordinamenti e successivamente in altri.

Per impiegare le parole del nostro legislatore, esso può essere sintetizzato così come segue: “La validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto cui si riferisce” (art. 808, co. 2, cod. proc. civ.).

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Contestazione della competenza del Giudice statuale

Un contratto contiene una clausola compromissoria che deferisce ad arbitri la soluzione delle eventuali future controversie tra le parti.  Nondimeno, una parte agisce in giudizio e conviene l’altra avanti il Giudice statuale.  La parte convenuta contesta, sulla base della clausola compromissoria, la competenza del Giudice statuale, ma quest’ultimo rende una sentenza erronea, rigetta l’eccezione e conferma la propria competenza.  A che Giudice si deve rivolgere la parte convenuta per chiedere di riformare la decisione del primo Giudice?

Due recenti pronunzie, rese da due diverse Corti di Appello a distanza di un giorno l’una dall’altra (sentenza della Corte di Appello di Catanzaro n. 1782 del 19 settembre 2019, disponibile qui; e sentenza della Corte di Appello di Potenza n. 636 del 20 settembre 2019, disponibile qui) offrono due risposte diverse al quesito appena posto: il Giudice calabrese afferma che l’impugnazione va proposta alla Corte di Appello, mentre il Collegio lucano che essa va devoluta alla Corte di Cassazione.  Entrambe le decisioni sono corrette, perché concernono due arbitrati diversi.

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Eccezione di compromesso

Una recente pronunzia del Tribunale di Genova (n. 1325 del 14 aprile 2016, disponibile qui) consente di svolgere una riflessione sul tema dell’eccezione di compromesso e della sua qualificazione.

La vicenda oggetto del giudizio è, in estrema sintesi, la seguente.

Il socio (e amministratore ) di una società a responsabilità limitata ha promosso azione di responsabilità nei confronti di altro amministratore.  Quest’ultimo ha sollevato exceptio compromissi e chiesto al Tribunale di Genova di pronunziare l’inammissibilità della domanda avversaria, poiché lo statuto sociale prevedeva a suo dire una clausola compromissoria per arbitrato irrituale.

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Natura dell’arbitrato irrituale

La Cassazione, con la sentenza n. 23629 del 2015 (disponibile qui), ribadisce che tanto l’arbitrato rituale quanto quello irrituale hanno “natura privata”, e che pertanto la differenza tra l’uno e l’altro non può fondarsi sull’idea che con il primo le parti abbiano affidato agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, ma va ravvisata nel fatto che, nell’arbitrato rituale, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 824/bis cod. proc. civ., con l’osservanza delle regole del procedimento arbitrale, mentre nell’arbitrato irrituale esse intendono demandare all’arbitro la soluzione di controversie – insorte o che possano insorgere in relazione a determinati rapporti giuridici – soltanto attraverso lo strumento negoziale, con cui le parti si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come l’espressione della propria volontà (cfr. già, in questo senso, Cass., Sez. II Civ., 12 ottobre 2009, n. 21585).

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Rinuncia alla clausola compromissoria

Il Tribunale di Roma (sentenza n. 19215 del 28 settembre 2015, disponibile qui) si è pronunciato nell’ambito di una complessa vicenda riguardante i rapporti tra una società a responsabilità limitata e un suo ex amministratore: in una prima causa, la società ha svolto l’azione sociale di responsabilità; in una seconda causa (che è quella definita con la sentenza in commento) l’amministratore ha agito in via monitoria per ottenere il saldo dei compensi a suo dire dovuti.  Tutto ciò, nonostante lo statuto della società contenesse, all’art. 26, una clausola compromissoria: “Tutte le controversie sorte fra i soci oppure tra i soci e la società, gli amministratori, i liquidatori o i sindaci, aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, sono risolte da un arbitro unico nominato dal Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti nel cui ambito ha sede la società (…)“.  E in effetti nell’azione di responsabilità l’ex amministratore convenuto in giudizio ha sollevato nei confronti della società l’exceptio compromissi; eccezione che, specularmente, è stata sollevata dalla società nei confronti dell’ex amministratore nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Si è quindi posta la questione di una eventuale rinunzia delle parti alla clausola compromissoria, in conseguenza delle loro iniziative processuali.

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Sull’impugnativa del lodo irrituale

Il Tribunale di Milano ha recentemente pronunciato una sentenza in cui ha affrontato il tema dell’errore rilevante ai fini della invalidità del lodo pronunciato in un arbitrato irrituale, ribadendo che deve trattarsi di errore su circostanze di fatto e non di un errore di valutazione da parte degli arbitri delle stesse circostanze di fatto, né di un errore di diritto relativo alla disciplina applicabile al caso concreto.  Il testo integrale della sentenza è disponibile qui, nell’archivio di Giurisprudenza delle Imprese.

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