Un tema di una certa rilevanza pratica, sul quale non sono però numerosi i precedenti editi, è quello dell’arbitrato contumaciale, ovvero – con terminologia più corretta – del giudizio arbitrale in cui si realizza una situazione corrispondente a quella che nel giudizio avanti il Giudice statuale dà luogo alla contumacia.
La dottrina in passato si è occupata dell’argomento, sviluppando tre tesi: la prima, secondo la quale è ammissibile in un procedimento arbitrale tale situazione; la seconda, secondo la quale, al contrario, tale situazione viene esclusa; e la terza, che appare preferibile, ad avviso della quale è necessario compiere un’operazione esegetica che consenta di individuare quelle norme che, dettate dal legislatore con espresso riferimento al giudizio contumaciale avanti il Giudice statuale, siano nondimeno compatibili con il procedimento arbitrale.
La giurisprudenza – come detto, non numerosa – tende invece a ripetere tralatiziamente la massima, secondo la quale non è configurabile, da un punto di vista tecnico-giuridico, la contumacia nel procedimento arbitrale (v.si Cass., Sez. I Civ., 2 febbraio 1978, n. 459; Cass., Sez. I Civ., 28 gennaio 1982, n. 563; Cass., Sez. I Civ., 19 gennaio 1984, n. 465; Cass., 15 marzo 1986, n. 1765; Cass., Sez. I Civ., 11 luglio 1992, n. 8469; Cass., Sez. I Civ., 16 novembre 1992, n. 12268, tutte rese in procedimenti di delibazione di lodi arbitrali stranieri; nonché Cass., Sez. I Civ., 2 settembre 1998, n. 8697 e Cass., Sez. I Civ., 29 gennaio 1999, n. 787, rese invece in procedimenti di impugnazione di lodi domestici).
Appaiono pertanto molto interessanti due recenti pronunzie, una di legittimità e l’altra di merito, entrambe rese in procedimenti di impugnazione di lodi arbitrali pronunciati all’esito di un giudizio arbitrale domestico che, con formula sintetica ancorché approssimativa, può essere definito ‘contumaciale’.